Stamberga, un luogo speciale che contiene moltitudini
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Stamberga, un luogo speciale che contiene moltitudini

Dalla fotografia ai libri; dai libri alla cartoleria; dalla cartoleria al té; dal té alle tazze; dalle tazze alla cura della persona.  Proprio in questa successione e sempre guardando ad Oriente, come un moderno Marco Polo alla scoperta di nuovi oggetti, aromi e sensazioni. Marco Beretta ci racconta la sua Stamberga.

Quando enumera, Marco Beretta porta il pugno chiuso vicino al cuore e solleva, in sequenza, lentamente, prima il mignolo, poi l’anulare, poi l’indice… Un gesto semplice che racconta quanto sia forte il suo legame con l’Asia.  

 

Una storia d’amore che dura da tantissimi anni e che inizia con quella che lui chiama “fotografia silenziosa”, la ricerca, in solitaria, di immagini capaci di far rallentare il cuore e vibrare l’anima.

 

I soggetti sono sempre gli stessi: i monaci buddisti del Tibet, dell’India, della Birmania, della Mongolia, del Laos, della Cina… i loro simboli, i luoghi sacri e i momenti di preghiera. Sguardi e momenti catturati dalla sua inseparabile Hasselblad, fermati per sempre su impeccabili stampe a mano fine art.

 

Osservatore attento di uomini e luoghi, Marco Beretta è un viaggiatore che deve alla sua sete di conoscenza e libertà tutti i cambiamenti che la vita gli ha riservato. E, quando gli si chiede, quante vite hai vissuto, risponde, contandole partendo dal mignolo, almeno 3.

 

L’ultima è quella come titolare di una “bottega” di oggetti per la casa e la persona. La prima, quella di un instancabile manager impegnato ad aprire nel mondo flagshipstore di grandi brand internazionali della moda e del lifestyle.

 

In mezzo c’è il caso che, quando lo assecondi, diventa il tuo destino.

 

 

Dalla fotografia agli oggetti per la casa e la persona

 

A un certo punto, il caso arriva anche sotto forma di un grido. La parola BASTA scritta a lettere cubitali dentro di sé. Basta con i business plan imposti da altri, basta con gli obiettivi di vendita impossibili, basta con la vita stressante del manager. Basta.

 

Giacca e cravatta buttate via in un colpo solo per ritrovarsi in un vuoto assoluto in cui tutto diventa possibile.

 

Questa parte della storia, allora, la possiamo chiamare “Da cosa nasce cosa”.

 

“Ho lasciato il lavoro e ho aperto una galleria fotografia per mostrare e vendere le mie foto.

 

A un certo punto alla vendita di fotografie ho abbinato i libri d’arte e di viaggio, creando una libreria assolutamente indipendente e anomala. Ai libri – poi - ho aggiunto oggetti di cartoleria, scegliendo le cose che piacciono a me, andandole a cercare direttamente in Oriente. Matite di legno naturale, carte fatte a mano”.

 

E poi ancora… da cosa nasce cosa.

 

“Sono un bevitore incallito ed esigente di tè e così, dopo gli oggetti di cartoleria, mi è venuta l’idea di introdurlo in negozio. Ho cercato un marchio che mi piacesse, ma non l’ho trovato, perché per il mio modo di vedere le cose, i prodotti erano troppo industriali, quindi, ho deciso di seguire nuovamente una strada tutta mia. Ho creato un logo, uno snake dragon, il simbolo sacro tibetano circoscritto in un cerchio, un marchio, Auberge Thé Bleu, e sono partito per l’Asia a selezionare personalmente i tè più puri da importare”.

 

Oggi, in bottega, all’interno di un vecchio banco da merceria illuminato da lampade in rattan blu ottanio disegnate da Tomoko Mizu per Bonacina, vengono conservati in scatole in legno di pino verniciato blu ben 25 qualità di tè (dai verdi cinesi e giapponesi ai neri indiani e tè profumati attraverso lunghi procedimenti antichi).

 

“E dopo il tè è arrivato il miele (realizzato appositamente da un apicoltore locale per Stamberga) e poi le tazze. Ho fatto un viaggio in Giappone per immergermi totalmente nella cultura del tè e lì ho scelto gli accessori giapponesi più autentici da proporre in negozio. Tazze, teiere, tisaniere, vassoi…

 

E, alla fine, ho inserito saponi e profumi. Ho messo in negozio tutte le cose che piacciono a me e, ora che ho ricominciato a viaggiare, continuo a fare ricerca, cercando in Asia fornitori e oggetti che possano rappresentare al meglio il mio stile di vita e ciò in cui credo.

 

I miei clienti comprano le mie foto, leggono i libri della mia libreria, sorseggiano il mio tè nelle tazze che ho selezionato per loro e si dedicano al proprio benessere scegliendo le fragranze e i saponi che ho scelto. Si fidano di me e io non metto niente qui dentro di cui non sia convinto al 100 per cento”.

 

 

 

La scelta dei fornitori: “Li vado a scovare direttamente”

 

“Entrano tanti fornitori per proporsi, ma mi mettono in crisi, perché per me la logica commerciale viene dopo. Preferisco andare io a cercare per il mondo i fornitori giusti per me e per la mia clientela. È una ricerca che non si può fare online. Viaggio e cerco nel mondo cose belle di aziende coerenti con i miei valori e il mio stile. Gli oggetti provenienti dall’Asia sono predominanti, ma in negozio c’è anche il miele italiano, i saponi siciliani, creme e fragranze danesi.

 

Ogni oggetto che seleziono reca in sé traccia di cultura e di pensiero millenari ed esprime un’armonia in cui si fondono sapienza artigianale, tradizione e capacità di innovare”.

 

Per garantire questo la scelta del fornitore non è quindi mai casuale. In pratica faccio quello che piace a me, perché tutto deve essere coerente e in sincrono. Tutto deve essere collegato”.

 

 

Non chiamatelo Concept Store

 

“In realtà non so ancora come definire questo spazio. Ho iniziato a definirlo concept gallery, perché nasce come galleria fotografica e perché le foto rimangono la spina dorsale di tutto, ti aiutano ad immergerti nell’ambiente, ti suggeriscono un punto di vista e contestualizzano, ma mi ritrovo anche a definirlo humilis dimora o bottega intesa, nell’etimologia cinese, come stanza, locale per la vendita posto al piano terreno sulla pubblica via, emporio commerciale, dove gli artefici lavorano e i mercanti vendono le loro merci”.

 

Di sicuro, un luogo speciale che contiene moltitudini, situato, all’incrocio tra strade signorili e tranquille, a Milano, nel quadrilatero del Silenzio. E tutto torna.

 

 

Stamberga, ovvero la solidità

 

Perché il nome Stamberga?  “È un omaggio a mio nonno e mio padre. All’epoca, quando ero piccolo, spesso si andava a mangiare in trattoria e nel mio dialetto trattoria si dice Stamberga. Questa parola mi ha sempre affascinato, ha un’etimologia fortissima. È un termine che abbiamo ereditato dai Barbari in Nord Italia. Poi i latini hanno cancellato o modificato il significato di molte parole barbare e, tra queste Stamberga, che ha subito un processo di abbassamento semantico. Stamberga deriva dal tedesco: Stein Berg, stanza di pietra/castello di pietra. Era lo spazio dove si parlava di strategie e che ospitava i militari. Una parola che esprime un bel contrasto, ma che è anche simbolo di solidità. Sceglierla mi è sembrata di buon auspicio.

 

Marco, quando ti chiedono che lavoro fai, che cosa rispondi?” Per semplificare dico gallerista, poi, però, devo spiegare meglio e, allora, parlo della mia bottega e mi definisco mercante. In realtà mi piacerebbe essere Marco Polo, un mercante che scopre e vende cose belle, pensate e fatte bene”.