Tik Tok per il retail
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Tik Tok per il retail

Bruno Surace e Gabriele Marino, semiologi, sono i primi autori italiani ad aver pubblicato un saggio sulle potenzialità del social anche come canale di presentazione e vendita dei prodotti

Serve Tik Tok per il retail? È uno strumento che aiuta a comunicare e a trasmettere i reali valori aziendali? Ebbene la risposta è sì, il social nato in Cina è uno canale idoneo ed efficace a veicolare i messaggi dei retailer al mondo degli utenti.

 

La conferma della validità – e vitalità – di Tik Tok, a torto etichettato come applicazione di second’ordine e rivolta a un pubblico composto prevalentemente da giovanissimi, arriva da Bruno Surace e Gabriele Marino, semiologi, docenti all’università di Torino e autori del libro “Tik Tok. Capire le dinamiche della comunicazione ipersocial”, edito da Hoepli.

 

È il primo saggio scritto su questo canale di comunicazione da due autori italiani, un testo rivolto anche a un pubblico non specialistico grazie al tono divulgativo che conduce il lettore alla scoperta del social attraverso una suddivisione tematica dei vari aspetti. I capitoli presentano una suddivisione tematica: dai formati e i generi audiovisivi al sound e alla musica, dalla moda e i personaggi alla lingua e il gergo, la sessualità e le modalità di autorappresentazione. Il volume si rivolge a quanti vogliano comprendere TikTok al di là del suo funzionamento tecnico e della sua monetizzabilità, approcciandolo come oggetto culturale a 360 gradi: professionisti della comunicazione e del marketing, studiosi e studenti dei corsi di comunicazione, creativi e content creator.

 

Tik Tok nasce nel 2018 dalle ceneri di Musical.ly. “Il formato mediale di Tik Tok è unico, prevede contenuti solo sotto forma di video o foto e immagini fisse. La vocazione originaria era quella di accogliere montaggi molto brevi con una musica grintosa ed energetica”.

 

Una metodologia che ha attirato un pubblico trasversale e che pian piano ha aperto e accolto al suo interno anche settori che in apparenza sembravano non avere nulla in comune con questo canale. La testimonianza più evidente e lampante è arrivata dal successo registrato da chi ha intercettato gli spiragli di comunicazione che si celavano al suo interno.

 

“Perché ci si ferma per un minuto e anche più a vedere presentazioni di abiti o altri articoli su Tik Tok? La ragione è contenuta nel messaggio pubblicitario che assolve alla sua funzione precipua ma, al tempo stesso, risponde anche a una funzione di intrattenimento. L’impressione che se ne ricava e quella di assistere a una sorta di sfilata digitale, ormai diventato un genere audiovisivo specifico con un montaggio musicale breve” hanno spiegato all’unisono i due docenti.

 

Superata con successo questa fase si è assistito a un mutamento a partire dalla struttura del messaggio a della durata dello stesso. “Constatato il gradimento del pubblico sono stati confezionati anche messaggi più lunghi e articolati. Questo è accaduto perché tra l’utente e il performer/venditore si è instaurato un contatto diretto, il potenziale cliente si fida di chi propaga il messaggio perché questi si spende in prima persona e diventa credibile agli occhi del ricevente. I venditori diventano così dei veri e propri influencer, i loro volti diventano riconoscibili e si assiste a una semplificazione delle dinamiche relazionali con il cliente”.

 

La regola generale è data dalla “sensazione di immediatezza e spontaneità che emerge guardando questi contenuti”. Uno dei vantaggi di Tik Tok è quello di essere trasversale, procede virale, è una sorta di collettore di tutti gli altri social, non a caso si parla ‘media convergence’.

 

Le campagne di retail condotte su Tik Tok stanno premiando gli operatori più accorti, propensi a ben gestire le risorse offerte dal social, monitorare le metriche di base da seguire con attenzione in base agli obiettivi prefissati, usare una comunicazione idonea a intercettare nuove fasce di pubblico e consolidare i rapporti con quella fetta di mercato che già conosce il brand.

 

“La viralità non si può programmare, ci si può solo incanalare verso certi trend” sottolineano i due autori. Bisogna quindi essere in grado creare contenuti accattivanti e saper gestire l’interazione comunicativa.